Onorevoli Colleghi! - L'esperienza degli ultimi decenni - esperienza sociale, politica e processuale - ha posto davanti ai nostri occhi il risultato della sostanziale inefficacia dei sistemi di prevenzione e di repressione dei fenomeni criminali (realizzati sempre di più su base organizzata o associata) in materia ambientale, con particolare riferimento al campo della gestione illecita dei rifiuti, sul quale ormai da diversi anni il Parlamento svolge importanti attività di inchiesta attraverso specifiche Commissioni parlamentari bicamerali.
      È proprio l'esperienza di indagine parlamentare, unita alla valutazione del perdurare, senza apparenti vie d'uscita, di fenomeni di crisi della gestione ordinaria della materia (si pensi al commissariamento per l'emergenza rifiuti in Campania che, da evento straordinario, sembra essersi ormai sedimentato in pratica ordinaria, con imbarazzanti strascichi di mala gestione in fase esecutiva dello strumento commissariale) che fanno riflettere sulla necessità di migliorare e ampliare il quadro degli strumenti a disposizione degli operatori della materia, in particolare in campo penale.
      Il dato ormai acquisito dagli operatori del diritto è quello della concreta insufficienza degli strumenti a disposizione, in particolar modo se si pensa alla rapida e profonda invasività (soprattutto e ancora in materia di gestione dei rifiuti) delle organizzazioni criminali mafiose, che vedono ormai nell'ambiente, nel territorio e nella gestione dei rifiuti una enorme e facilmente accessibile risorsa.
      La gestione diretta delle discariche abusive, del commercio e del trasporto di rifiuti

 

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(anche pericolosi, tossici e radioattivi) e l'insinuazione - attraverso imprese conniventi o imprese mafiose tout court - nei meccanismi leciti di smaltimento hanno rappresentato nel corso degli ultimi anni il mercato più florido per mafia, camorra e 'ndrangheta, come testimoniato da decine di indagini compiute dalle direzioni distrettuali antimafia delle regioni a maggiore insediamento mafioso.
      Eppure, se tale intensa attività investigativa sembra essere testimone di sufficiente effettività degli strumenti di controllo, sono proprio gli inquirenti e gli investigatori a dirci come le armi a disposizione siano, di fatto, ormai «spuntate».
      I maggiori difetti del sistema di tutela penale dell'ambiente stanno nella natura dei reati attualmente previsti e nelle conseguenze, penali e processuali, direttamente derivanti.
      Si tratta infatti, perlopiù e con rare eccezioni (si pensi all'articolo 53-bis del decreto legislativo n. 22 del 1997, successivamente abrogato e le cui norme sono oggi riprodotte nell'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che punisce come delitto l'attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, con pene aggravate se si tratta di particolari tipi di rifiuti pericolosi), di reati contravvenzionali, puniti con pene esigue soggette a rapidi termini prescrizionali e, pertanto, all'estinzione.
      Ciò comporta altresì l'impossibilità di procedere, dal lato processuale, a rilevanti atti d'indagine e di cautela: è infatti impossibile, allo stato, procedere a intercettazioni e all'irrogazione di misure cautelari personali.
      Ma vi è di più: in un quadro in cui le mafie estendono il loro potere e la loro forza aggressiva sull'ambiente, non è possibile in tali casi, se non nelle limitate ipotesi delittuose previste, contestare l'associazione di tipo mafioso per la commissione di reati ambientali. Infatti, l'articolo 416-bis del codice penale necessita, per l'integrazione della fattispecie ivi prevista, della predisposizione di un programma criminoso consistente nella realizzazione di delitti, e non di contravvenzioni (quali sono, come detto, la maggior parte delle ipotesi di reato previste in materia ambientale).
      È necessario, allora, introdurre una serie di nuove ipotesi di delitti contro l'ambiente, che dovranno essere, per facilità di previsione, inseriti nel corpus del codice penale (apparendo questa la soluzione più rapida e semplice rispetto alla più complessa, sebbene forse migliore dal punto di vista della coerenza della costruzione normativa, ipotesi di un nuovo testo unico innovativo).
      In materia, peraltro, l'intervento legislativo può farsi guidare dalle fonti europee che già se ne sono occupate (si pensi alla Convenzione per la tutela dell'ambiente attraverso il diritto penale, adottata dal Consiglio d'Europa il 4 novembre 1998, nonché alla decisione quadro 2003/80/GAI del Consiglio, del 27 gennaio 2003, anche se successivamente annullata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee).
      Appare prioritario muovere la linea di intervento secondo queste guide:

          1) prevedere una nozione di ambiente ampia e quanto più possibile comprensiva di beni giuridici;

          2) creare norme penali «in bianco», da riempire con il rinvio alle specifiche disposizioni di legge, essenzialmente amministrative, che disciplinano limiti e vincoli normativi mediante il riferimento a tabelle, elenchi e allegati tecnici, in continua evoluzione e aggiornamento. L'esasperato tecnicismo delle norme «tecniche» in materia ambientale non si concilia con la struttura penale codicistica e occorre pertanto mantenere un rapporto di accessorietà della sanzione penale rispetto al diritto amministrativo ambientale;

          3) rendere concretamente efficace e dissuasivo il precetto penale, strutturando le nuove fattispecie delittuose in funzione della progressività dell'aggressione al bene giuridico tutelato, anticipando la soglia della punibilità e prevedendo, in crescendo, ipotesi di pericolo presunto, ipotesi di pericolo concreto e ipotesi di danno, con correlativo aumento dell'impianto delle sanzioni edittali;

 

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          4) introdurre norme processuali che permettano, anche in diretto rapporto alla rimodulazione delle sanzioni edittali, lo svolgimento di attività d'intercettazione e l'applicazione di misure cautelari;

          5) estendere alla materia dei reati ambientali regole di aggressione dei patrimoni illeciti realizzati attraverso la commissione di tali ipotesi delittuose, con la previsione della confisca (anche per equivalente, ossia attraverso l'acquisizione di beni corrispondenti, per valore, all'illecito arricchimento) degli illeciti profitti accumulati e con la possibilità di azionare il sequestro di prevenzione previsto all'articolo 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 356 del 1992, che rappresenta un formidabile strumento operativo.

      Secondo tali linee guida, il presente progetto di legge prevede l'introduzione nel libro II del codice penale del titolo VI-bis, relativo ai «delitti contro l'ambiente», che prevede una nozione amplissima di «ambiente», mutuata dalle conclusioni assunte, nel corso delle legislature XIII e XIV, dalle Commissioni parlamentari di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse.
      L'articolato prevede poi due ipotesi, speculari quanto a impostazione e apparato sanzionatorio, relative alle ipotesi di «inquinamento ambientale» e di «traffico di rifiuti e di sostanze pericolose per l'ambiente»: in entrambe le ipotesi sono previsti diversi stadi di aggressione al bene giuridico, con aumento correlativo delle pene.
      Anche la materia del reato associato e organizzato, come detto di enormi gravità e proliferazione, quantitativa e qualitativa, trova adeguata risposta con l'introduzione del reato di «associazione per delinquere contro l'ambiente» e di una specifica aggravante per l'associazione di tipo mafioso di cui all'articolo 416-bis del codice penale, quando essa sia mirata ad attività nel campo ambientale.
      Aderendo, poi, alle migliori analisi nazionali e internazionali, si è ritenuto di prevedere - sulla base della considerazione che l'obiettivo della riforma normativa deve essere quello, principalmente, di assicurare materialmente la salvaguardia dell'ambiente e dell'ecosistema - incentivi premiali per il reo che ponga rimedio al pericolo o al danno cagionato. Tale comportamento di ravvedimento è previsto come ampiamente attenuante per le ipotesi di reato doloso e come addirittura estintivo del reato per le ipotesi colpose (anch'esse introdotte, specularmente a quanto avviene per i reati contro l'incolumità pubblica già previsti dal codice penale).
      Particolare enfasi deve, poi, essere posta su due aspetti delle vicende connesse alla criminalità ambientale, ossia le connivenze e le collusioni tra pubblici dipendenti e criminali «ambientali» e la responsabilità delle persone giuridiche in materia di reati ambientali.
      Sul primo punto, si ritiene necessario prevedere un'ipotesi specifica di delitto di «frode in materia ambientale», che punisce i comportamenti fraudolenti commessi, in special modo, attraverso la predisposizione e l'utilizzo di false dichiarazioni e attestazioni per accelerare o concludere procedure amministrative in materia ambientale. È altresì prevista una specifica ipotesi di aggravante per i reati di corruzione commessi al fine di realizzare reati ambientali.
      In materia di responsabilità degli enti, si ritiene adeguato intervenire sul decreto legislativo n. 231 del 2001, che ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico l'istituto. La presente proposta di legge prevede che, con le garanzie del processo penale, possano essere applicate all'ente giuridico le sanzioni previste dall'articolo 9 del medesimo decreto legislativo (l'interdizione dall'esercizio dell'attività, la sospensione e la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito, il divieto di contrattazione con la pubblica amministrazione, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o l'eventuale revoca dei provvedimenti già concessi, il divieto di pubblicizzazione di beni e di servizi).

 

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      L'attuale disciplina elenca una serie di reati per i quali è possibile l'applicazione di tali misure interdittive e di sanzioni amministrative pecuniarie, tra i quali non rientrano i reati ambientali. E ciò nonostante il fatto che la delega, contenuta nella legge 29 settembre 2000, n. 300, includesse tra i delitti suscettibili di addebito per illecito amministrativo all'ente anche i reati ambientali e quelli scaturenti dalla violazione alla normativa di tutela del territorio (articolo 11 della citata legge n. 300 del 2000).
      Pertanto, quella delega solo parzialmente attuata può oggi essere oggetto di applicazione attraverso la presente proposta di legge, introducendo la previsione di una specifica ipotesi nel decreto legislativo n. 231 del 2001, che contempli anche le principali ipotesi di reato ambientale.
      A completamento dell'intervento previsto, occorre introdurre regole processuali che comprendano la competenza delle direzioni distrettuali antimafia per le nuove ipotesi di reato associativo, dato anche il tendenziale collegamento tra ipotesi di reato ambientale e associazioni criminali di tipo mafioso, nonché che prevedano, come già rilevato, un rafforzamento del sistema di cautela, personale e reale.
      A ciò tende il dettato dell'articolo 3 del presente progetto di legge, che introduce nuove regole in materia di confisca (anche per equivalente), di esecuzione in danno, di sequestro preventivo (anche estendendo il campo di applicazione del citato articolo 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992) e di obbligatorietà dell'arresto in flagranza.
      Sono, infine, oggetto di abrogazione alcune specifiche disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cosiddetto «testo unico ambientale»), che prevedono ipotesi contravvenzionali coincidenti, in tutto o in parte, con le nuove ipotesi delittuose oggetto di introduzione nell'ordinamento.
 

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